Dhakira Project #6 — ذاكرة. Prima di Israele. La memoria anticoloniale della questione palestinese

People’s Memory Project
6 min readJan 16, 2019

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Dhakira project assieme a Husein Shawashi e gli studenti della al Quds University

Spesso ci si dimentica che l’assedio e il blocco di Gaza non sono soltanto responsabilità di Israele, ma anche dell’altro importante vicino della Striscia: l’Egitto. Dopo il colpo di Stato militare del generale al Sisi, che ha rovesciato il governo dei Fratelli Musulmani, movimento islamista storicamente legato ad Hamas, il valico di Rafah (estremo sud, border confinante con l’Egitto) è rimasto per lungo tempo chiuso — comprese queste settimane in cui ci siamo trovati là. Non solo: anche il regime egiziano ha intensificato i controlli al confine, costruendo un muro che a prima vista potrebbe essere confuso con quello israeliano.

“La lotta per i diritti umani lungo il perimetro di Gaza e contro il blocco non riguarda solo Israele, ma anche l’Egitto”, ci dice una sera Mohannad, giovane attivista di un’associazione gazawa che lavora sui diritti umani e contro la repressione politica. “Nelle prossime settimane si sta pensando di organizzare molte iniziative anche a Rafah, compresa una Marcia del Ritorno di protesta contro il muro egiziano. Per i palestinesi sarebbe un passaggio storico: significherebbe prendere consapevolezza che il nemico non è solo Israele, ma anche un paese mediorientale come l’Egitto”.

Valico di Rafah, confine con l’Egitto

Una consapevolezza che in realtà, andando indietro nel tempo, le più vecchie generazioni palestinesi e di Gaza avevano già sviluppato in più momenti. Lo ritroviamo incontrando uno dei più anziani abitanti della Striscia: Husein Shawish. “Sono nato nel 1929, ho iniziato a combattere l’occupazione della Palestina quando avevo 10 anni, contro gli inglesi”. Husein è il bisnonno di uno degli studenti che hanno partecipato ai nostri workshop sulla storia orale e la memoria storica. L’intervista viene realizzata collettivamente, con le riprese e il set preparato da alcuni ragazzi, e la conversazione con Husein da noi assieme alle studentesse della classe. Ci rendiamo subito conto che i giovani gazawi non sono abituati a considerare gli anziani come depositi di memorie.

Ancora di più lo è Husein, che a 90 anni mantiene una memoria e una lucidità stupefacenti. Soprattutto, la sua è una storia che racconta agli studenti e anche ad alcuni dei docenti che ci accompagnano episodi completamente dimenticati.

Alcuni momenti dell’intervista

“Iniziammo a combattere gli inglesi e i proprietari terrieri ebrei, che con le prime ondate migratorie avevano cominciato a comprare tutta la terra che prima era dei villaggi e delle comunità palestinesi. La Rivolta Araba [meglio conosciuta come Grande Rivolta in occidente, scoppiata nel 1936 si protrasse fino al ’39, proseguendo con minore intensità per tutto il decennio successivo. NDA] coinvolse tutta la popolazione e aveva per obiettivo la terra. Quello che chiedevamo agli inglesi era di fermare l’espansione dei sionisti, ma non ci ascoltarono. Anche i paesi arabi ci lasciarono soli, per non mettersi contro l’Impero Britannico: quando chiedevamo le armi per combattere, ci davano sempre armi vecchie o non ce le davano”.

Prima di Israele, quindi, l’occupazione è nata in epoca coloniale. Husein partecipa alla Grande Rivolta per alcuni anni. Quando però la repressione diventa troppo forte, lascia la Striscia di Gaza e arriva a piedi fino a Gerusalemme. “Ero lì nel 1948, durante i mesi della Nakba. Non so descrivervi cosa significò per noi la Catastrofe. Fu terribile, ci sentivamo persi e sconfitti, senza speranze. Interi villaggi vennero cancellati e gli abitanti uccisi, i sopravvissuti cacciati. Lentamente però provammo a ricominciare e a resistere, e il primo passo fu l’educazione e la cultura: per salvare i legami tra i palestinesi separati e tra le comunità distrutte. Lo facemmo soprattutto per i più giovani”.

Una foto di Husein da giovane

Dopo la nascita di Israele e la sua vittoria nella guerra del ’48, la Striscia di Gaza fu sotto controllo egiziano. Dopo la Rivoluzione dei Liberi Ufficiali del 1952, in Egitto andò al potere Gamal Abdel Nasser, installando il primo regime nazionalista post-coloniale del Medio Oriente. Da allora l’integrazione di Gaza con lo Stato egiziano si intensificò e i suoi abitanti avevano cittadinanza egiziana. “I gazawi mantennero la loro identità palestinese e continuammo a lottare per il diritto al ritorno e contro l’occupazione israeliana. Però studiavamo e lavoravamo in Egitto, facevamo anche il servizio militare. Tuttavia, durante la crisi di Suez del 1956, a Gaza si formò l’Esercito libero palestinese, che combatté contro gli israeliani [che si erano mobilitati al fianco di Francia e Inghilterra contro la nazionalizzazione del canale di Suez da parte di Nasser, NDA], quando questi occuparono la Striscia per alcuni mesi. Io partecipai alla guerra con l’Esercito libero. Ma di questo preferisco non parlare”, ci dice con un sorriso enigmatico, mentre gli studenti ci traducono il suo rifiuto a parlare con “secret”. Nei mesi dell’occupazione di Gaza nel ’56 avvenne il primo grave massacro da parte dell’esercito israeliano, quando a Khan Yunis vennero uccise più di 275 persone durante le perquisizioni casa per casa alla ricerca dei fedayeen.

Husein è rimasto a Gaza per tutta la vita. Ha vissuto tutti gli altri tragici avvenimenti della storia del suo popolo, combattendo nella guerra del ’67 e poi anche nella Prima Intifada. “Tutte le nostre rivolte e la nostra lotta, a partire dalla Rivolta Araba, è stata fatta dai palestinesi e solo dai palestinesi”, dice a proposito di chi ha descritto, anche storicamente, questi episodi come “guidati” da potenze straniere o dai regimi arabi vicini.

La tenda a Beit Hanoun, dove sorgeva la casa di Husein distrutta durante la guerra del 2014

“Combattei durante l’Intifada, che iniziò qui a Gaza [che dopo la Guerra dei Sei Giorni nel ’67 fu sotto occupazione israeliana, NDA]. Sapete perché? Perché Israele uccise degli innocenti. L’8 dicembre 1987 un pullman pieno di persone stava passando dal check point del campo di Jabalia, quando i soldati spararono uccidendo 7 persone. Quando si diffuse la notizia, tutti, uomini, donne e bambini, vecchi e giovani, scesero in strada e cominciarono a lanciare pietre contro gli israeliani. Fu una rivolta di tutta la Palestina occupata. Il passare la voce, di persona in persona, è stato sempre il modo con cui i palestinesi in tutti i paesi in cui erano rifugiati si sono tenuti vicini e hanno potuto agire insieme”.

Adesso Husein Shawish vive a Beit Hanoun, il sobborgo vicino al confine, che fu completamente distrutto durante l’ultima guerra del 2014. Svolgiamo l’intervista in una grande tenda montata nel cortile di una casa di recente ricostruzione. “In questo luogo, dove adesso si trova questa tenda, stava la mia vecchia casa. E’ stata distrutta da una bomba israeliana nel 2014, ma io non me ne sono voluto andare. Resto qui dove sono sempre stato”.

Il vecchio passaporto durante la Repubblica araba unita (1959)
Il sobborgo di Beit Hanoun

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