Dhakira Project #7 — ذاكرة. Andiamo, torniamo.
Sorridere, ballare, piantare un albero d’ulivo, portare i figli a scuola, fare l’amore, proteggere le nostre pietre. Questa è resistenza. Dipingere, costruire una casa. Questa è resistenza. Aspettare in piedi per quattro ore per attraverso un check point e poi passare. Questa è resistenza. Noi siamo ancora qui. Nassar Ibrahim
Scriviamo queste righe dopo gli ultimi giorni dentro Gaza e il ritorno in Cisgiordania — e da qui in Italia.
L’uscita dalla Striscia è appena anticipato dall’episodio dei 3 carabinieri (anche se secondo le ultime notizie da Israele e Palestina sarebbero stati 4) che, entrati in modo legale e autorizzato per svolgere un normale sopralluogo di sicurezza in vista della visita del console italiano a Gaza, si sono rifugiati nella sede UNRWA dopo che non si erano fermati a un posto di blocco, scappando in seguito alla breve sparatoria che ne è seguita. I primi sospetti di essere agenti israeliani o di appoggio a questi sono rientrati in 24 ore, quando poi i militari sono stati rilasciati e fatti uscire. La strana vicenda, al di là di ipotesi e complottismi, sembra più semplicemente e drammaticamente indicare piuttosto l’errore commesso per ignoranza del contesto in cui si trovavano ad agire — elemento comune a molta della diplomazia e delle forze di sicurezza occidentali presenti in Medio Oriente.
Dopo aver passato i controlli di sicurezza e le perquisizioni in uscita da Erez, torniamo verso Betlemme e i campi di Deisheh e Aida, riattraversando Israele. “Sapete come si dice da noi? ‘Della gente del mare e del deserto non ti puoi fidare, perché sono come la sabbia, soffiano via col vento’. Significa che non sono come noi, popoli della terra e della montagna, solidi”. Questa frase la pronuncia un amico e compagno di Betlemme, mentre gli raccontiamo di Gaza. In essa è racchiuso il segno che uno degli obiettivi dello Stato israeliano è raggiunto: la separazione e la distruzione della comunità nazionale palestinese. Allo stesso modo, un altro ragazzo, ma a Gaza, a proposito della Cisgiordania ci aveva detto nei primi giorni: “Sarò duro, ma onesto: per me Israele può radere al suolo Ramallah, non mi interessa. A loro non importa di noi e a noi non importa di loro”.
Il sentimento non è dominante e generalizzato. A testimoniarlo ci sono le manifestazioni di solidarietà che il venerdì si svolgono nelle città dei Territori occupati con la Marcia del Ritorno di Gaza. Tuttavia è reale la distanza che separa i palestinesi dei diversi Territori occupati — per non parlare della diaspora.
Al termine di questa prima tappa del progetto Dhakira vogliamo provare ad abbozzare alcuni spunti rispetto al lavoro svolto — e vissuto:
- la condizione della Palestina e di Gaza in particolare è di guerra e controinsorgenza permanente; non si tratta di una condizione passiva, che una popolazione subisce in seguito al conflitto tra il proprio Stato e un paese esterno, ma si tratta di una militarizzazione costruita nei decenni per colpire una resistenza politica attiva;
- in una resistenza popolare ridotta allo stremo, portata avanti da una società parcellizzata e frammentata, dove anche le proprie autorità politiche si volgono sempre più verso istanze conservatrici e autoritarie, non c’è alcuna poesia o romanticismo: c’è invece sopravvivenza, opportunismo, durezza; ma anche il fiore della solidarietà che permette di dire che quella resistenza non è finita, che ha anzi la possibilità di rinascere più forte, se in grado di liberarsi dei suoi stessi elementi conservatori e dai suoi tabù;
- la cosa più difficile e rara da trovare a Gaza sono i libri e persone che, nelle molte guerre attraversate, hanno conservato una biblioteca personale; oltre a ciò, dei luoghi pubblici e collettivi di conservazione e utilizzo della cultura. Lo spirito con cui soprattutto i più giovani partecipano ogni venerdì alla Marcia del Ritorno riflette l’unica prospettiva che si danno anche i ragazzi palestinesi della Cisgiordania: affrontare direttamente il nemico e se necessario cadere sotto le sue pallottole. Si ha il senso profondo e quasi naturale dell’ingiustizia e dell’oppressione della propria condizione, non si ha la percezione più radicale e profonda dell’origine e del suo significato. E che no, non è detto che la vita debba continuare a essere come è stata finora per generazioni;
- se la memoria storica ha un suo contenuto sovversivo rispetto al presente, qui vale più che mai. Ce ne siamo accorti lavorando con le ragazze e i ragazzi della al-Quds University, così come parlando e stando insieme ai gazawi più giovani che, non appena finiscono di dirci “No future here”, ci parlano di un passato che si perde nel tempo lungo e astorico della tradizione: il contatto diretto con la fonte orale invece li aiuta a comprendere che c’è stato un tempo diverso (non migliore, ma differente) e che la loro stessa esperienza può un giorno diventare parte di questa storia sbagliata ma che disperatamente e ostinatamente si vuole invertire.
In Palestina ci sono due modi di dire “resistenza”. Il più noto è al-muqawama, che indica direttamente la lotta armata e la resistenza fisica all’occupazione militare; l’altro, meno noto, è sumud, che potremmo tradurre anche con “resilienza”, “perseveranza”, “ostinazione”, in senso positivo. Se la prima è parte necessaria — ma non sufficiente — alla trasformazione, la seconda è invece un concetto prodotto dall’esperienza storica palestinese, descritto nella citazione con cui abbiamo aperto questo racconto, ed è ciò che dà uno slancio verso il futuro alla sopravvivenza. Alle diverse azioni e atteggiamenti del sumud pensiamo di poterne aggiungere un altro: il mantenimento, la raccolta, conservazione e trasmissione della storia. Con il Dhakira Project abbiamo provato ad aggiungere un tassello.
Ringraziamo Meri e il centro culturale italiano “Vik-Vittorio Arrigoni” per l’ospitalità in queste settimane.
[Con gli studenti dei workshop sulla storia orale abbiamo aperto, in chiusura del corso, un profilo instagram co-gestito da noi e loro: https://www.instagram.com/dhakiraproject.gaza/?hl=it. Sopra ci potete trovare alcuni dei lavori fatti insieme in queste due settimane e troverete aggiornamenti direttamente da loro, per portare avanti il progetto anche a distanza. Uno strumento in più per continuare a parlarci].