People’s Memory Project
5 min readJan 27, 2024

Il Giorno della Memoria più abusato di sempre.

Questo Giorno della memoria è sicuramente il più abusato da decenni, dal punto di vista dell'uso pubblico della storia. La causa prima è l'utilizzo della Shoah per difendere Israele, da parte anzitutto delle comunità ebraiche e, strumentalmente, delle cancellerie occidentali.

Dall'altra parte, per cercare di rompere una sovrapposizione falsa quanto pericolosa tra identità ebraica e sionismo, la sinistra (l'unica degna di questo nome) filo-palestinese e i movimenti solidali con la Palestina e la sua resistenza, spingono per sottolineare l'analogia tra lo sterminio nazista degli ebrei e la pulizia etnica da parte di Israele in Cisgiordania e a Gaza.

Partiamo da qui: la Shoah è stata un "unicum", il "male assoluto"? Il dibattito storiografico ne discute da decenni, evidenziando che tutti gli eventi storici in quanto tali sono unici e irripetibili. La Storia è come la fisica: nulla si ripete mai uguale due volte, ma niente nasce dal nulla.

Da questo punto di vista sì, la Shoah è stato un evento unico (soprattutto in Europa) che si inserisce nella lunga e drammatica storia non solo dell'antisemitismo, ma anche di quella che lo storico franco-marocchino Bensoussan ha definito la secolare "passione genocidaria europea".

Sono le caratteristiche del progetto hitleriano a rendere "unico" l'Olocausto, l'ideologia e la "tecnica" nazifasciste, il tempo e lo spazio del genocidio (dove il nucleo era la "soluzione finale" contro gli ebrei, ma la cornice è il nazionalismo esasperato dalle teorie razziali e dall'industrializzazione della guerra): volontà e pianificazione di sterminio totale di una e più categorie di persone (ebrei in primis, ma anche rom, omosessuali, disabili e in generale tutt* i/le non conformi) in una guerra totale - cosa che la rende diversa da una pulizia etnica durante un'occupazione o che si verifica nel contesto del colonialismo di insediamento (come è il caso israeliano).

Più complesso il discorso sul "male assoluto", che bisogna però ammettere essere più una categoria morale che storica: per i popoli indigeni delle Americhe, dal Canada al Cono sud, il "male assoluto" è lo sterminio e il furto di terre dei propri avi, seguita a quella che chiamano "invasione europea" (mentre da noi ancora si parla di "scoperta" e "conquista"), con una condizione secolare di sfruttamento; per i Paesi dell'Africa atlantica questo fu lo schiavismo e il commercio di esseri umani, ricordata allo stesso modo da* discendenti dell* schiav* nelle Antille e Caraibi o dalla popolazione di origine africana negli USA, Francia e Regno Unito; per i/le palestinesi è la Nakba. E così via. Purtroppo nella Storia sono presenti, paradossalmente, più mali assoluti o meglio diverse forme del male assoluto, compresa la Shoah.

Come ha detto Aimè Cesaire (Discorso sul colonialismo, 1951):

Quel che gli europei non perdonano a Hitler non è il crimine in sé, il crimine contro l’umanità, l’umiliazione dell’umano in sé, ma il crimine contro l’uomo bianco, l’umiliazione dell’uomo bianco. Quel che non si perdona a Hitler è il fatto di avere applicato in Europa le tecniche coloniali accettate con gli arabi in Algeria, i coolies dell’India e i neri dell’Africa.

Anche gli stessi studi che, partendo da Adorno ("Dialettica dell'illuminismo") fino a Bauman ("Modernità e Olocausto"), leggono la Shoah come evento inedito e prova traumatica dell'illuminismo negativo o del risvolto anti-illuminista della modernità e della razionalità strumentale, dimenticano che il primo contesto in cui tutto ciò si manifestò furono gli imperi coloniali europei e diversi contesti post-coloniali dell'800, a partire dalle Americhe - mentre da secoli esistevano sistemi di razzializzazione codificata.

L'analogia non è mai utile a comprendere le dinamiche storiche e soprattutto il loro risvolto nel presente, è superficiale e semplicistica: meglio la comparazione, che aiuta a spiegare e vedere differenze, cambiamenti, trasformazioni.

E ciò che sta avvenendo in Palestina appartiene piuttosto alla lunga storia del colonialismo, ma in un contesto nuovo e inedito: quello regionale, dove la post-colonialità non è riuscita a fare il passo verso la Liberazione e ha spesso replicato strutture ereditate dal passato coloniale (compreso quelle razziali); e quello palestinese in particolare, dove un frutto avvelenato dell'età coloniale come Israele è sopravvissuto cancellando dalla memoria la propria origine di colonialismo di insediamento e occupazione militare genocidaria fin dalla Nakba e anche prima, durante il Mandato britannico.

Il sionismo è il frutto avvelenato dell'antisemitismo, in quanto tale utilizzato dalle comunità ebraiche, traumatizzate, incapaci di separare il proprio "destino" da quello di Israele - e quindi percependo le proteste per Gaza e la solidarietà automaticamente come "antisemite", mentre ogni azione della resistenza palestinese viene nominata richiamando fatti e periodi storici che non c'entrano nulla - una parola su tutte, rispetto al 7 ottobre, "pogrom".

L'ipocrisia dei governi occidentale - compresi quelli post-fascisti come il nostro - e i loro frammentati, isterici, interessi geopolitici alimentano e fanno da gran cassa rispetto a un utilizzo strumentale dell'antisemitismo per distorcere quanto sta avvenendo a Gaza - che è un'operazione a tutti gli effetti con scopo di pulizia etnica, alimentando il circolo vizioso dell'abuso pubblico della storia della Shoah e dell'Olocausto.

Un servizio migliore alla memoria, ai "sommersi e salvati" (ricordando che il Giorno della Memoria non si parla solo di loro, ma anche e soprattutto dei carnefici e della zona grigia) si farebbe se si superasse il paradigma dell'unicum, rispettando trauma e ricordo, inserendo l'Olocausto nella lunga storia genocidaria europea (iniziata proprio nel Vecchio continente, poi esportata e perfezionata nei domini coloniali) e recedendo il legame tra la propria memoria di comunità sopravvissute a un genocidio con un altro progetto di dominio e pulizia etnica.

Chiudo con le parole di un intellettuale fondamentale, il rivoluzionario di origine ebraica Isaac Deutscher (comunista anti-stalinista, eminente studioso del movimento operaio, biografo di Stalin e Trotsky) che nel suo "L’ebreo non ebreo" (1958) faceva appello alla tradizione eretica della cultura ebraica, capace di superare i confini identitari per superare la ferita della Shoah e i presupposti che l’avevano resa possibile; riflettendo altresì sulla inadeguatezza dello Stato-nazione (non solo per il popolo ebraico, ma il riferimento al sionismo è dichiarato), in quanto elemento di disgregazione sociale e oppressione, cui "il mondo aveva costretto gli ebrei dopo averli sterminati" auspicando che i suoi confratelli

ritrovino la via del ritorno al patrimonio morale e politico che il genio degli ebrei che sono andati oltre l’ebraismo ci ha lasciato: il messaggio dell’emancipazione umana universale.